“Io non ho paura della morte”: la storia del magistrato Rocco Chinnici, padre del pool antimafia
Martedì 23 gennaio, Rai1 trasmette il film ‘Rocco Chinnici. È così lieve il tuo bacio sulla fronte‘. La fiction prodotta da Luca Barbareschi e diretta da Michele Soavi ripercorre il vissuto del magistrato che fondò il pool antimafia e vide nei giovani la chiave del cambiamento, gli artefici di quella rivoluzione delle coscienze necessaria per sconfiggere la malavita. Venne assassinato a 58 anni. La pellicola racconta anche il lato umano dell'uomo, il suo quotidiano e i ruoli – mai trascurati – di marito e padre. Preziosa fonte per una trama ancora più aderente alla veridicità dei fatti è stato il libro omonimo di Caterina Chinnici, figlia maggiore del magistrato. Nel cast Sergio Castellitto, Cristiana Dell’Anna, Manuela Ventura, Virginia La Tella, Luigi Imola, Bernardo Casertano, Paolo Giangrasso, Bruno Torrisi e Maurizio Puglisi.
La vera storia di Rocco Chinnici
Rocco Chinnici nacque il 19 gennaio 1925 a Misilmeri. Nel 1943, dopo aver conseguito la maturità al liceo classico di Palermo, intraprese gli studi di giurisprudenza. Si laureò nel 1947, mentre nel 1952 diventò magistrato. Per 12 anni fu pretore a Partanna. Nel 1966 assunse il ruolo di giudice istruttore a Palermo. Quattro anni più tardi si occupò per la prima volta di mafia, gli fu assegnato il caso della Strage di viale Lazio. Quando il magistrato Cesare Terranova perse la vita in un agguato mafioso, Chinnici divenne capo dell'Ufficio Istruzione.
L'istituzione del pool antimafia
Il 6 agosto 1980 venne assassinato anche il procuratore Gaetano Costa. Rocco Chinnici era amico dell'uomo e spesso si erano scambiati informazioni. Così, iniziò a riflettere su come intensificare le indagini sugli ambienti mafiosi. Inoltre, comprese l'importanza di un'azione corale da parte della magistratura. Le indagini non potevano più essere condotte da singoli individui. Chinnici avvertì l'esigenza di creare un "pool" di magistrati che si scambiassero informazioni. Più volte precisò che in questo modo, se gli fosse accaduto qualcosa, le indagini sulle quali aveva lavorato sarebbero rimaste a disposizione dei colleghi che avrebbero potuto portare a compimento la sua opera. Intuì che se l'interazione avesse preso il posto del lavoro svolto in solitaria, la lotta contro la mafia sarebbe diventata ancora più efficace. Entrarono a far parte del pool magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta e Giovanni Barrile.
Il suo lavoro non si limitò a un confronto con i colleghi. Chinnici intuì il ruolo determinante delle nuove generazioni. Più volte sottolineò "Senza una nuova coscienza noi da soli – magistrati e forze dell'ordine – non ce la faremo". Così, il magistrato decise di andare nelle scuole per parlare ai ragazzi della mafia. Aveva grande fiducia in loro, come depositari della chiave del cambiamento. Intanto, nel cuore della notte, si moltiplicavano le telefonate minacciose e le intimidazioni. Chinnici sapeva di essere finito nel mirino di individui molto pericolosi ma continuò eroicamente la sua missione dichiarando: "Io non ho paura della morte e so benissimo che possono colpirmi in ogni momento”.
Chinnici padre amorevole nel racconto della figlia Caterina
In un'intervista rilasciata a Fabio Fazio nel corso del programma ‘Che tempo che fa', Caterina Chinnici ha tracciato un ritratto del magistrato nel ruolo di padre: "Papà era una persona dotata di una grande umanità. Era un marito affettuoso, un padre sempre presente, che sapeva ascoltarci, che sapeva parlare a noi figli, che sapeva consigliarci, che sapeva dire anche dei no. Ecco, quei no erano fermi e irremovibili. Veniva fuori anche l'altro aspetto della sua personalità, cioè la sua severità e il suo rigore. Papà sottoponeva a un attento esame tutti i ragazzi che ci avvicinavano. Io ero la figlia remissiva, che comprendeva le sue motivazioni. Mia sorella era un tantino più ribelle".
29 luglio 1983 – L'attentato a Rocco Chinnici
Il 29 luglio 1983, Rocco Chinnici entrò nella stanza in cui dormivano i suoi figli. Diede loro il buongiorno e una carezza sul viso, come tutte le mattine. Alle 08:10 uscì dalla sua abitazione in via Pipitone Federico. Era l'ora di recarsi in tribunale. Non appena mise piede fuori dal portone di casa, dove lo attendeva la scorta, ci fu una terribile deflagrazione. L'esplosivo era stato posizionato su una Fiat 126 verde parcheggiata vicino all'edificio in cui abitava il magistrato. L'ordigno era stato azionato a distanza. Nella strage morirono, oltre al magistrato, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. I cronisti dell'epoca descrissero ciò che si parò dinanzi ai loro occhi come uno scenario di guerra. Un ammasso di lamiere, vetri infranti, calcinacci e sangue. I cugini Nino e Ignazio Salvo vennero ritenuti i mandanti della strage.
La testimonianza di Giovanni Paparcuri, supersite della strage
Giovanni Paparcuri era l'autista di Falcone. Data l'assenza momentanea del magistrato, venne affidato a Rocco Chinnici. Il giorno della strage fu l'unico a salvarsi. Ospite del programma ‘Che tempo che fa' ha voluto sottolineare la straordinaria generosità del magistrato:
"Ricordare quel giorno mi rattrista. Voglio sottolineare l'umanità del consigliere Chinnici. Sapeva di essere nel mirino, ma la sua unica preoccupazione era che non accadesse nulla ai ragazzi della scorta. Due giorni prima dell'attentato, il 27 luglio, ci convocò nella sua stanza e ci disse: ‘Ragazzi state attenti alle macchine di grossa cilindrata e ai furgoni. Lo sto dicendo per voi. Se decidete di andare via in questo istante, io lo capirò‘. Noi non siamo stati dei vigliacchi. Abbiamo detto in coro: ‘Consigliere noi stiamo con lei'".