Il tatuaggio della leonessa di Gomorra 2
Il quarto episodio di Gomorra – La serie è il passaggio ad una seconda fase narrativa. Eliminato l’ostacolo Conte si apre uno scenario plurale che può determinare sbocchi diversi e inattesi.
Sollima domina con maestria la serialità noir. Le prime tre puntate, per come sono state congeniate, rappresentano la logica continuità della prima serie. Soddisfano la curiosità degli spettatori che vogliono sapere come è andata a finire dopo l’agguato a Jenny e l’evasione di don Pietro. In quest’ultimo episodio, invece, la catena consequenziale ha termine e i nuovi protagonisti entrano a pieno titolo nella storia con ruoli che si andranno definendo, per peso specifico, nel corso della programmazione.
Il primo aspetto da rilevare è il continuo desiderio di comandare in casa propria. Il quartiere è il luogo delle radici, la “patria” perduta o liberata che provoca conflitti e separazioni. Non basta avere denaro e gestire traffici, bisogna essere i primi dove si è nati per dare senso al proprio “sentire” criminale. Il costante riferimento all’alleanza è evidentemente un richiamo all’alleanza di Secondigliano che si costituì alla fine degli anni Ottanta dominando l’area nord di Napoli per un decennio. I promotori furono Edoardo Contini, Francesco Mallardo e Gennaro Licciardi che diedero vita a un modello federativo con la spartizione degli affari onde evitare l’insorgere di conflitti e proteggere unitariamente (il clan Mazzarela) i territori di competenza dalle aggressioni esterne.
Gennaro Licciardi era l’uomo di Secondigliano, già referente dei Giuliano nel quadrante settentrionale. ‘A scigna, così era chiamato, morì a 38 anni nel carcere di Voghera in seguito a una setticemia (1994). Il suo posto fu preso dalla sorella, Maria Licciardi. In parte il personaggio della impetuosa Chanel si ispira alla figura de ‘a piccerella (la piccolina, di statura ovviamente) che è stata descritta dai collaboratori di giustizia come «una donna cattiva e determinata», pronta a scatenare una guerra per vendicare l’omicidio del “principino”, il nipote Vincenzo, destinato a diventare capo.
In parte è la somma dei resoconti di cronaca che hanno svelato l’universo delle donne di camorra. Si autodefinisce una iena perché nel branco comandano le femmine. È mascolina, ma attenta al lusso (spende circa 800 euro per comprare un vestito da sfoggiare durante il colloquio in carcere con il figlio); è razionale, ma pronta a reagire d’istinto (tenta di eliminare l’uomo che l’ha derubata, senza pensare alla possibilità di carpirgli utili informazioni); gioca d’azzardo ma è matrona tradizionale (impone alla nuora, minacciandola, una condotta degna del ruolo che le spetta). Il suo essere bianco e nero la rende vulnerabile ai tentativi di provocazione attuati dal clan Savastano che si è rimesso in azione per riprendere il territorio d’appartenenza. Senza il controllo di vicoli, strade, piazze non si può organizzare la guerriglia urbana, né si può reclamare il diritto di comando.
È la volta di Patrizia. Il padre è morto in uno dei tanti scontri a fuoco tra i clan. Appare come una ragazza semplice che è riuscita a scrollarsi la sofferenza per il semplice fatto di aver dovuto pensare alla famiglia, da sola. La scelta dell’attrice (Cristiana dell’Anna) è indovinata: il volto è segnato dagli occhi tagliati verso il basso ma pronti a guizzare, il fisico è quello di una ragazza qualsiasi con la voglia di farsi dimenticare mischiandosi tra la gente.
Ma il passato ritorna con il volto dello zio, Malammore, che la sceglie per la sua insospettabile normalità. Una prova che la condurrà ad essere «gli occhi, le orecchie e la bocca» di don Pietro Savastano. Il boss è tornato, contro il parere del figlio, passando dalle fognature (un rifiuto che riemerge dalle viscere della terra) per nascondersi alla vista dei nemici. Patrizia incontra un uomo in cattività, arrabbiato e assetato di vendetta che non si fida di nessuno. La mette alla prova con una di quelle frasi che entreranno sicuramente nel vocabolario quotidiano degli emulatori della serie: «Se eri una leonessa, non avevi bisogno del tatuaggio».
Perché il tatuaggio? Perché la leonessa? Lo ha voluto dopo la morte del padre che la chiamava in quel modo. Il disegno, o meglio il coraggio di bruciare la carne per eliminarlo, è la vera indicazione della sua identità che non esita a incidere sul corpo sottoponendolo al sacrificio della ferita. Staremo a vedere quali sviluppi avrà il personaggio. Intanto Ciro e gli alleati hanno saputo che il vecchio dittatore è rientrato in gioco. Non vogliono la guerra, che richiamerebbe l’attenzione delle forze di polizia bloccando le attività “commerciali” (la difesa dell’economia e del suo indotto è più importante dello scontro armato), ma una pace tesa alla sottomissione simbolica dell’avversario: chiedono di trattare con Jenny escludendo il padre dalla partita. Una disponibilità al compromesso che, nella strategia orchestrata da Ciro, ha il sapore della definitiva abdicazione di Pietro Savastano, moneta di scambio per il mantenimento dei nuovi equilibri raggiunti.