Il Tar del Lazio: “Illegittimo oscurare la Rai su Sky”
Quando si verificò il fatto si ebbe quasi l'impressione di un rigurgito di orgoglio aziendale, fierezza e rispetto per il proprio lavoro, da parte della Rai. Siamo a luglio 2009 ed è in corso la trattativa con Sky relativa alla concessione dei diritti di trasmissione dei canali satellitari Rai (Extra, Premium, Cinema, Smash Girls e Yo Yo): Sky offre 350 milioni, una lauta cifra, che comprenderebbero, nel conto, per sette anni, anche la naturale visione dei canali liberi, RaiUno, Due, Tre e altri. Il contratto di servizio obbliga Viale Mazzini a trasmettere i suoi programmi free su tutte le piattaforme. Ma l'intento della Rai è di lucrare e l'obiettivo, oltre che eventualmente far lievitare l'offerta, pareva davvero quello di accennare, almeno formalmente, ad un minimo gesto di sfida a quella che si apprestava ad essere una minacciosa concorrente.
Ecco perché qualche cittadino medio, che magari Sky non ce l'aveva, si ritrovò a difendere le scelte coraggiose di un gruppo che decideva di rinunciare ad una somma cospicua per una scelta di prospettiva, per non svendere ad un prezzo ritenuto basso, la totalità dei propri prodotti. Mauro Masi, appoggiato dall'allora ministro delle telecomunicazioni Paolo Romani, decise di rispettare in parte il contratto, criptando di fatto una buona fetta della programmazione Rai, forti del fatto che quel contratto di servizio di cui sopra imponesse di essere sul satellite. E sul satellite ci stava con Tivusat. La Rai (di cui ieri è stato definitivamente nominato il nuovo presidente) rinunciò perché già predisposta a questo affare, una piattaforma mirata, in principio, a rifornire del servizio le zone d'Italia ancora non dotate di digitale. Per la verità un modo per monetizzare, assieme a Mediaset e La7, la propria presenza sul satellite e per mettere a Sky i bastoni tra le ruote: Tivusat prevedeva un secondo decoder.
Il Tar ha stabilito l'irregolarità di questo comportamento da parte della Rai, svelandone fondamentalmente le chiavi di lettura, che sarebbero meno rievocative di un orgoglio aziendale. Infatti il Tar stabilisce che, in merito all'accordo Tivusat con Telecom e Mediaset, furono favorite attività commerciali che "non hanno nulla a che fare con il servizio pubblico" tramite un aiuto di Stato illegittimo. Si capirebbe, in questo senso, la funzione di Masi e, ancor più, di Paolo Romani. Il computo finale è una perdita doppia della Rai, che rinunciò a quel compenso da non disdegnare prima e si è trovata nell'illecito ora. E' giustificato collegare la questione ai vantaggi generali che potesse trarre il politicamente redivivo Berlusconi dagli "aiuti di stato" per Tivusat.
Altrettanto vero è che, in quanto azienda pubblica richiedente un canone ai cittadini, si dovrebbe poter strutturare, in virtù della totale visione in chiaro, un sistema che verifichi quantomeno se il cliente Sky che ne usufruisce paghi il canone. Non solo per vigilare, ma perché sarebbe l'unico modo per tutelare la Rai da un esenzione definitiva, di fatto, dal pagamento del canone stesso. Non c'è dubbio che, vista la qualità, questo canone non s'avrebbe da pagare; è vero pure che chiedere se paghi o meno il canone è come chiedere per chi voti. Tuttavia sarebbe corretto credere che la Rai possa essere principalmente ad appannaggio di chi la appoggia. Ma questo è un parere del tutto personale.