Il paradosso delle Olimpiadi Rai, bellissime ma inesistenti sul tuo smartphone
Le immagini possono dire tutto, ma spesso non bastano. È il caso delle Olimpiadi, l'evento sportivo per eccellenza che, per poco più di due settimane, ogni quattro anni, ci trasporta a latitudini sportive quasi mai frequentate dal cosiddetto pubblico generalista, essendo l'Italia un paese di allenatori di calcio. E se la latitudine è diversa, differente è il linguaggio, il vocabolario di questi sport. La figura del commentatore televisivo diventa quindi fondamentale, più che mai, nel processo di alfabetizzazione, o meglio di comprensione delle immagini che si osservano.
Bragagna, il Piero Angela di Rai Sport
A Tokyo 2020, olimpiade che si sta rivelando eccezionale per l'Italia in termini di risultati, ha trovato affermazione definitiva il nome di Franco Bragagna. Voce storica della Rai, Bragagna pare aver conseguito un "patentino" social consistente di elogi ed encomi in un certo senso tardivi – non è certo un neofita – iniziati con il racconto della cerimonia inaugurale e proseguiti con quello dei successi inattesi dell'atletica azzurra, culminati con la vittoria di Gianmarco Tamberi nel salto in alto eil trionfo di Marc Jacobs nella gara dei 100 metri, di fatto la più importante delle Olimpiadi.
Il Piero Angela dello sport italiano, così qualcuno ha ribattezzato Bragagna in questi giorni, riconoscendogli i meriti di una carriera intera e una sorta di valenza istituzionale, compensando alle critiche che non sono mancate nei suoi confronti, da qualche sbavatura nella stessa cerimonia inaugurale – la quarta da lui commentata – alla scelta di non nominare Alex Schwazer come ultimo vincitore di una medaglia nell'atletica per l'Italia prima di Tokyo 2020. Un responso divisivo che è la cifra di un risultato raggiunto da Bragagna e Rai Sport. La redazione sportiva del servizio pubblico mai come in questo momento ha bisogno di investire in voci e volti nei quali il pubblico si riconosca.
Solo Tv, niente social e RaiPlay
Le grida entusiastiche di Bragagna per le vittorie di Gianmarco Tamberi e lo sprint di Marcell Jacobs – "Marcello Marcello!" ha fellinianamente urlato mentre l'atleta tagliava il traguardo – sono diventate in pochi minuti iconiche, ma hanno dato allo stesso tempo sostanza al paradosso di queste Olimpiadi raccontate dalla Rai, che ha potuto raccontarle solo in una forma tradizionale, trasmesse solo in Tv e non su RaiPlay, vista la mancata acquisizione dei diritti per la trasmissione sulle piattaforme streaming e on-demand. Di fatto, in questo momento, le immagini bellissime delle vittorie italiane con la voce di Bragagna – e dei tanti altri grandi professionisti Rai in campo sportivo – che sarebbero state oggetto di condivisione spinta degli utenti sui social, non si possono vedere. Ci sono quelle del record del mondo di Bolt, ma non quelle di Jacobs, primo italiano della storia a vincere la gara dei 100 metri.
Ciò che non si può rivedere non esiste
Si potrebbe discutere di responsabilità dei singoli, o puntare il dito contro il servizio pubblico con il fare aprioristico che contraddistingue la maggior parte delle critiche indirizzate alla Rai negli ultimi anni. Ma sarebbe inutile e improduttivo. Siamo nel 2021 e vale però la pena riflettere della visione di un'azienda, del risultato che può garantire sul lungo periodo una manifestazione olimpica trasmessa esclusivamente attraverso un mezzo che i giovani, semplicemente, non utilizzano, e delle possibilità che i successi sensazionali di Tamberi e Jacobs (ma non solo) contribuiscano a creare cultura sportiva se un ragazzino di 16 anni, cercandoli oggi sui social o su Google, non trovi traccia di nulla che abbia il timbro del servizio pubblico. La Rai dedica alle Olimpiadi di Tokyo ore e ore di programmazione giornaliera, ma allo stato attuale si tratta di una lavoro che rischia di rimanere invisibile ed essere l'ennesimo cimelio accantonato negli immensi archivi dell'azienda.