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Il ministero sceglie un privato per la Netflix della cultura italiana, la Rai snobbata

È Chili l’azienda individuata da ministero e Cdp per la realizzazione della Netflix della cultura italiana proposta da Franceschini durante la pandemia. Per portare spettacoli dal vivo e musei nelle case degli italiani (e non solo) non si è mai parlato della Rai, che pure avrebbe una struttura già pronta. Come mai? E soprattutto perché Salini e Foa non dicono nulla?
A cura di Andrea Parrella
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Una"Netflix della cultura". È stato uno dei refrain che hanno accompagnato la prima ondata di pandemia, quando il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, aveva avviato il dibattito sulla volontà di dare vita a una piattaforma video per sostenere il mondo dello spettacolo messo in ginocchio dall'impossibilità di partecipare a spettacoli e concerti dal vivo, o visitare musei.

Se in termini di informazioni fornite dal governo sull'evoluzione del progetto siamo rimasti all'idea di base di cui sopra, la seconda ondata ha accelerato i tempi per una definizione di chi parteciperà alla realizzazione del progetto, con la concreta possibilità del coinvolgimento di un attore privato. Non la Rai, a dispetto del fatto che erano stati in molti a sostenere come il ministero la sua Netflix della cultura ce l'avesse già , pronta all'uso, con sede a viale Mazzini.

L'operazione da 28 milioni

Emerge invece che sarà Chili Tv la piattaforma deputata a prendere parte alla Newco che dovrebbe dare vita al progetto. L'operazione, di cui il Messaggero ha descritto le caratteristiche giorni fa, vedrebbe la partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti al 51% con un investimento di 9 milioni di euro, pari a quello di Chili, partner al 49% con 9 milioni investiti tra know how e cash, oltre a una partecipazione del MiBACT con il versamento di 10 milioni provenienti dal Recovery Fund.  La trattativa sarebbe attualmente in corso, ma resta in forse, Chili ne sta valutando la fattibilità.

Chili Tv, la piattaforma di Stefano Parisi

Ma perché Chili? Di certo la scelta del ministero per l'individuazione di un partner è andata nella direzione di un'azienda italiana, che opera nella distribuzione via internet di film e di serie TV (video on demand), fondata a Milano nel giugno del 2012 da Stefano Parisi (ex candidato sindaco a Milano con il centrodestra, sconfitto da Giuseppe Sala nel 2016) insieme a Giorgio Tacchia, Alessandro Schintu, Giano Biagini e Stefano Flamia. Negli anni il gruppo si è strutturato anche con l'ingresso di attori internazionali, da Paramount-Viacom a Warner Bros e Sony Pictures nel 2016 oltre a 20th Century Fox che nel 2018 aveva acquisito quote tra il 3% e il 4% e ancora Vudu, servizio streaming video americano di proprietà del gruppo Fandango Media. Risale al 2019, inoltre, la partnership di Chili Tv con TIM per ampliare il suo pubblico.

Come funziona Chili

Se Chili può essere inclusa in un generico raggruppamento di piattaforme streaming, paragonarla a competitor internazionali come Netflix, Amazon Prime e Disney + è quantomeno improprio per modello di business. Chili non prevede alcun abbonamento mensile, bensì il noleggio o l'acquisto di contenuti il cui prezzo varia in base alla freschezza del prodotto stesso.

Come dovrebbe essere la Netflix della cultura italiana?

Il meccanismo di Chili fa emergere qualche dubbio proprio in relazione a quello che dovrebbe essere il modello dell'iniziativa tanto voluta dal ministero di Franceschini e al momento si sa molto di più su chi ne potrebbe far parte che su come sarà. I contenuti si pagheranno singolarmente? Si potranno sia acquistare che noleggiare? Oppure ci sarà un forfait mensile, modello in quel caso diametralmente opposto all'esperienza di Chili?

Nell'idea di Franceschini la nuova piattaforma dovrebbe fornire agli utenti abbonati la possibilità di partecipare “virtualmente” e da qualsiasi parte del mondo a eventi dell’arte e della cultura italiani, da spettacoli teatrali a concerti, mostre e fiere, con l'implementazione di contenuti sul patrimonio artistico italiano al fine di diffonderne la cultura. Ma in che modo questo avverrebbe sulla nuova piattaforma? Al momento non ci sono dettagli utili a comprendere la sostanziale differenza tra la Netflix della cultura italiana e, banalmente, ciò che è in grado di offrire la Rai con gli spettacoli teatrali che già vanno in onda su Rai5 e che sono disponibili sulla piattaforma RaiPlay.

Le proteste della Rai

E veniamo proprio alla Rai. La notizia del connubio Cdp/Chili ha generato sconcerto a Viale Mazzini, ma sono in pochi ad esporsi. "Sarebbe assurdo rimanere indietro rispetto a questa operazione, posta l'utilità della stessa", dice a Fanpage.it il membro del CdA Rai Riccardo Laganà, eletto dai dipendenti. Ricordando il lavoro importante fatto con Rai Scuola, il consigliere auspica inoltre "che questa idea venga ricondotta anche nel prossimo CdA del 14 dicembre, considerando il valore di RaiPlay come piattaforma nella quale si potrebbero destinare i contenuti veicolati dal ministero".

Anche il segretario nazionale dell'Usigrai Vittorio Di Trapani interviene sulla questione via Twitter: "Il governo sembra intenzionato a creare la piattaforma della #cultura con una alleanza tra Cdp (Cassa depositi e prestiti) e una piattaforma privata (scelta poi come?). Perché non con RaiPlay?". Due prese di posizione chiare, provenienti da volti sganciati da appartenenza politica ai partiti. A dire la sua sulla vicenda c'è anche Michele Anzaldi, membro della commissione di vigilanza in quota Italia Viva, che manifesta la sua contrarietà alla Newco ma ripropone l'idea già espressa in passato di un bando aperto anche ai privati per un progetto di questo tipo: "Solo così la Rai potrebbe essere stimolata a partecipare e si eviterebbero gli sprechi che caratterizzano l'azienda". Anzaldi cita i casi del canale istituzionale Rai e quello di lingua inglese denunciando il pericolo che un progetto del genere, affidato a prescindere al servizio pubblico, finirebbe per non vedere mai la luce.

Il silenzio bipartisan e quello di Foa

Apparente silenzio bipartisan sul tema, invece, da parte di tutti gli altri componenti del CdA scelti dai partiti. Non si registra nemmeno una reazione del presidente della Rai Marcello Foa, che pure nel 2018 aveva detto di sognare "una Rai in stile Netflix", coniando l'azzardato naming Raiflix. Lo stesso amministratore delegato Fabrizio Salini, di recente "blindato" dal premier Conte ma costantemente al centro di voci su un sollevamento dall'incarico, non ha sommessamente fatto notare che Rai e cultura sono due parole che dovrebbero andare a braccetto. Come mai a viale Mazzini sono in pochi a far sentire la propria voce mentre il ministro Franceschini definisce silentemente la Rai un soggetto inadeguato allo sviluppo un ambizioso progetto video nazionale al quale si affianca la parola cultura?

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