Il Collegio, prof Carnevale: “Provo a spiegare ai ragazzi che il mondo non è bianco o nero”
Alessandro Carnevale è uno dei personaggi più amati de Il Collegio 6. Figura "alternativa" del corpo docenti, in quanto professore di arte rappresenta colui con cui i ragazzi si sentono liberi di aprirsi, lasciarsi andare all'ispirazione. Un'idea di sé che Carnevale prova a riportare anche nella vita di tutti i giorni, nella quale non ha propriamente un ruolo didattico di tipo istutizionale, ma si dedica alla divulgazione, a un suo personale racconto del mondo. In questa intervista a Fanpage.it prova a spiegare proprio questo, partendo naturalmente dalla sesta edizione de Il Collegio, in onda su Rai2 tutti i martedì.
Siamo alla sesta edizione. Sta diventando routine?
Le sfumature differenti per ogni edizione ci sono sempre, però sta diventando una cosa oggettivamente inscritta in questa routine autunnale. Quello che conta di più resta sempre la registrazione estiva, che mi ha cambiato assolutamente la vita e non è una cosa banale, però c'è questo cortocircuito per cui è tutto incredibile, ma normale.
In cosa cambiano le tue giornate da ottobre a a dicembre?
Per forza di cose è un momento di esposizione incredibile, ci sono questi due mesi in cui ogni martedì sai che ci sono quasi due milioni di persone che ti guardano. C'è da aggiungere che noi scopriamo solo in diretta quello che montano della mia lezione.
Cosa provi quando ti rivedi?
Lì per lì è un turbinio di emozioni difficili da spiegare, ma diciamo che resta sempre un po' di rammarico perché condensando tutto in un paio di minuti, fuori da quello che viene mostrato restano tante cose che mi avrebbe fatto piacere andassero in onda. Tuttavia quelle sono esigenze di tempistiche televisive comprensibili che non si possono controllare. La cosa positiva è che non provo mai un senso di vergogna per ciò che ho fatto o detto, ma sempre un po' di pentimento sul contenuto.
Il viaggio nel 1977 di questa edizione ti ha portato a rimodulare il tuo approccio?
Ogni anno c'è un certo grado di consapevolezza in più dai ragazzi, sanno chi sono io, che con me possono essere più creativi e liberi, rompere lo schema rigido del Collegio. Il 1977 riguarda anni difficili, ma forse anche per quello al tempo c'era un bisogno di creatività incredibile. Secondo me i ragazzi lo hanno capito, hanno respirato questo impulso conoscendo le radio libere, i progetti di cinema, la voglia di contestare cose che stanno strette. C'è un clima di contrasto simile al '68 e si sa che nel contrasto emerge necessariamente una rivendicazione, la voglia di essere più creativi ed esprimersi.
Questo contrasto tra conservatorismo e riformismo degli anni '70 traccia similitudini con la contemporaneità?
Ci sono delle similitudini ma persiste una differenza enorme, quella per cui gli anni Settanta prevedono un contesto di aggregazione incredibile, si voleva più libertà, ma si faceva comunque parte di un gruppo, una massa combatteva in un fronte comune. Oggi le rivendicazioni sono tutte individualistiche, ognuno lotta per la propria libertà, per riaffermare una serie di cose che definiscono ciò che sei. Nel Collegio queste due cose si scontrano, perché ci sono ragazzi che vivono nel presente, che però mi pare abbiano scoperto, in parte e per un tempo breve, questo spirito di aggregazione.
Quest'anno è entrata al Collegio una persona che non vuole essere definita né ragazzo né ragazzo. Come avete vissuto questa cosa?
Per quanto riguarda il nostro presente, la guerriglia semiologica e linguistica è all'ordine del giorno. All'epoca, nel '77, non poteva esserci questa premura e abbiamo chiamato Beatrice la signorina Genco.
Non ci sono stati momenti di imbarazzo?
Ci sono stati dibattiti durante le lezioni d'arte, quando abbiamo parlato di identità. Però è stata una discussione, in quanto docente ho ascoltato, ma fare diversamente, considerando il periodo storico che "interpretavamo", era impossibile.
Il Collegio nella sua resa televisiva cerca insistentemente il meme, che è una forma d'arte collettiva, qualcosa che cambia passando di mano in mano. Da docente d'arte che ne pensi?
Il meme è una forma d'arte collettiva che si basa sull'individualismo, continua a definire se stessa in funzione di chi lo utilizza, mutandone il significato. Trovo interessante che serva a raccontare qualcosa di proprio e soggettivo, attraverso un referente comune. Che questo sia uno degli elementi portanti della comunicazione del programma e della partecipazione del pubblico penso ci dica qualcosa sul successo di questo programma.
Da tempo il tuo lavoro consiste nel fare divulgazione, continua ad essere l'impegno principale?
Sto proseguendo su quella strada, provando a mettere da parte una serie di dinamiche che hanno a che fare con l'hype e l'assecondare i trend. Seguirli ti impone di fare cose anche per contrasto, un mese fa dovevi parlare per forza di Squid Game, ora di Strappare Lungo i Bordi e la cosa fastidiosa è che il trend impone di prendere una posizione contraria oppure di elogiare un capolavoro. Scompaiono le mezze misure e secondo me si appiattisce il dibattito, ragionare solo per estremi genera un mondo in bianco e nero che a me non interessa. A me piace approfondire le cose, far capire che il mondo è un'enorme scala di grigi senza contrapposizioni nette. Spero che col tempo paghi.
Tra le ricerche principali legate al tuo nome c'è la situazione sentimentale. Il clan delle bimbe di Carnevale ti imbarazza?
La sola cosa che possa fare è sorridere. Mi spiace che "Alessandro Carnevale-fidanzata", altezza o peso che sia, abbia più ricerche della parola "libri" associata al mio nome. Questo la dice lunga sul mio successo letterario (ride,ndr).