È Coronavirus ma sembra la guerra, Giuseppe Conte ovunque in Tv per parlare agli italiani
Non è stata una domenica come le altre e di questo ne avevamo avuto una velata percezione quando a saltare è stata la Serie A: quando in questo Paese si ferma il calcio qualcosa sta accadendo. Contro ogni allarmismo, la televisione della domenica si è trasformata in un bugiardino a flusso continuo e i programmi Tv di punta della giornata, molti dei quali senza pubblico in studio a causa delle disposizioni ministeriali sulla prevenzione al contagio da Coronavirus (qui gli ultimi aggiornamenti), si sono fatti contenitore per gli interventi del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Di certo non avvezzo al presenzialismo televisivo, il premier ha scelto di apparire nelle quattro trasmissioni più popolari della domenica per parlare della situazione e farlo in "cinque lingue" diverse. In orario da digestivo era ospite di Mara Venier a Domenica IN, per un primo aggiornamento sulla situazione e favorendo il clima da cassa mutua determinatosi in studio. Sempre in fascia pomeridiana il presidente Conte si concedeva a "Mezz'ora in più" per il consueto approfondimento su Rai3 condotto da Lucia Annunziata. In prima serata è stato poi da Fazio a Che Tempo Che Fa, dove ha affrontato la questione in maniera più rigorosa, anche a fronte delle decisioni di Veneto e Lombardia di bloccare ogni tipo di evento e manifestazione nei giorni a venire. Poi da Barbara d'Urso a "Live – Non è la D'Urso", con la conduttrice a dargli del tu mentre il presidente le dà del lei. E ancora da Massimo Giletti a "Non è l'arena", accontentando anche i pruriti calcistici del conduttore il quale, da vecchia volpe della Tv, si preoccupa anche di quegli spettatori che da ore si chiedono cosa ne sarà del loro fantacalcio con la Serie A bloccata. Cinque contenitori differenti per un messaggio identico, da adeguare però al tono di voce specifico di ogni singolo programma.
Un Conte a reti unificate, rigorosamente in abbigliamento da lavoro, ma domenicale, che preferisce la televisione a Twitter e Instagram per fare quello che è, a tutti gli effetti, un messaggio alla nazione spalmato su orari diversi. Un dato che ci restituisce anche il ruolo di centralità che la televisione continua ad avere in questo paese, a dimostrazione del fatto che quando le cose paiono farsi serie, il canale preferenziale per comunicare resta il piccolo schermo, nonostante uno smartphone ce l'abbiano ormai tutti. Una scelta per rassicurare la popolazione, ma che al contempo non può che alimentare la percezione dell'anomalia, di qualcosa senza precedenti e, si spera, senza successori. Perché, nel linguaggio istituzionale, il messaggio alla nazione avviene il più delle volte quando si va in guerra.