Geppi Cucciari: “La satira può essere spietata, tutto sta nell’etica di chi la fa”
Con la pandemia anche la televisione ha cambiato il suo modo di comunicare con il pubblico, trovando nuove modalità di interazione e di racconto. Geppi Cucciari con il suo Che Succc3de?, in onda ogni giorno nella fascia pre-serale di Rai3, è riuscita perfettamente nell'intento. Spigliata, leggera e al contempo profondamente attenta all'attualità, ma soprattutto a portare in televisione gli individui nella loro unicità, la conduttrice sarda è riuscita a parlarci dell'Italia attraverso gli italiani, regalandoci una visione eterogenea e ricca del Paese. Non solo televisione, ma anche radio, cinema e teatro nella carriera di Geppi Cucciari che in un percorso un po' a ritroso nel tempo ci ha raccontato il suo modo di interagire con il pubblico, attraverso l'umorismo, la satira, ma anche qualcosa che troppo spesso nella nostra società manca: la capacità di ascolto.
Che Succ3de? è stato una delle grandi novità di questa stagione televisiva. In un momento in cui i protagonisti erano i virologi, su Rai3 invece sono tornati gli italiani. Come è nata questa idea?
È un'idea nata dall’unione dell’opportunità con la necessità. L’opportunità è stata quella di tornare in tv con un programma quotidiano, che poi è il privilegio più grande per chi fa la tv: avere un racconto giornaliero dell’Italia e di chi nel programma è coinvolto. Avrei dovuto avere un certo numero di persone in studio, poi con le restrizioni anti Covid si è arrivati ad un solo ospite, nel mio caso è stato investito di questo ruolo Tonio Cartonio (Danilo Bertazzi ndr.), ognuno fa le sue scelte.
In realtà proprio durante il Covid, con le dirette della "Comunità dei cugini disagiati", ti eri già cimentata in questo racconto a più voci del Paese e di chi lo vive.
Sì, esatto, durante il primo lockdown ho iniziato a fare delle dirette su Instagram e da quella cosa nata per caso, ho capito che era un modo meraviglioso di fare compagnia e di averla. Era una comunità che ogni notte si trovava, aspettava questo collegamento, non solo per me, ma si aspettavano l’uno con l’altro. Ed è così che ho scoperto una cosa che io già sapevo e che avevo fatto anche con Rai Pipol: tutti noi abbiamo qualcosa di interessante da dire, da raccontare.
Quindi, l'idea del panel che vediamo alle tue spalle si è dimostrata vincente. Forse perché il pubblico non è stato marginale in uno show televisivo.
Ho potuto avere collegamenti da tutta Italia, intrecciando storie e persone diverse, che vivono realtà diverse: dal paesino alla metropoli, da italiani che sono dovuti andare all’estero o che sono partiti e poi tornati. Ho un quadro del Paese più concreto e reale. Poi a Che Succede si è aggiunto un contenuto editorialmente più complesso, quello delle storie che cerchiamo noi: gli ospiti che intervisto li ho scelti io, insieme alla mia redazione, e ogni volta proviamo a raccontare anche i grandi temi di attualità, ma da una prospettiva diversa, magari da dentro.
Una componente che non può mai mancare nei tuoi show è, ovviamente, la battuta. Credi che l'umorismo possa essere uno strumento per far riflettere?
Credo che l’umorismo permetta di toccare molti temi che magari di umoristico non hanno nulla. Nel mio programma spero si percepisca l'alternarsi di diversi toni, dove l’umorismo è il sapore principale, ma non c’è solo quello. A volte faccio un passo indietro sul mio istinto alla battuta, perché c’è soprattutto una voglia davvero profonda di ascoltare quello che mi si dice e non sempre è comico quello di cui parliamo.
A proposito di umorismo legato a temi importanti, chi fa satira in questo periodo teme che possa essere fagocitata dall'ombra del politicamente corretto. C'è ancora spazio per la satira in questo Paese?
La satira spesso è irriverente e può essere anche spietata. In teoria dovresti prendertela con chi è più forte, però attaccare con il linguaggio satirico un potere è diverso che attaccare con la satira chi è già in difficoltà. Tutto sta nell’etica di chi la satira la fa. Io dico delle cose orribili a volte, ho delle reazioni veramente sconsiderate che però percepisci come istintive e contingenti, che sono molto diverse da “io adesso arrivo e ti dico questa cosa perché la credo fortemente”. C'è stato un periodo in cui era concesso tutto, c’è il rischio che ci sia concesso sempre di meno, per cui ruota tutto attorno all'intelligenza di chi la satira la fa, chi la riceve e chi ne usufruisce.
Eppure tu, anche con il Presidente della Repubblica, sei riuscita a rapportarti in maniera scherzosa e senza timore. Sarà che l'esperienza attenua l'inibizione?
Non è una persona con cui interagisco ogni giorno, sento un grande rispetto per il Presidente, credo che questa cosa lui l'abbia vista, però ad un certo punto senti di poter aprire un varco dentro di te, quindi non è soltanto quello che dici, ma anche il modo in cui si dicono le cose: questo vale nella vita, ma anche nel mio lavoro. Ci sono delle cose terribili se lette e accettabili se sentite, è ovvio che non posso non riconoscere di essere stata molto emozionata al Quirinale, ma io sono emozionata anche quando inizio Che Succede, sento la responsabilità di quello che faccio, ogni volta che lo faccio. Sono molto emotiva, più di quanto non sembri, a volte ci vuole un po’ di irrequietezza umana e anche antropologica, per vincere quelle paure.
Nove anni senza un programma tutto tuo. Come è stato il ritorno all'esclusività?
In questi nove anni ho avuto la fortuna di lavorare sempre, ho avuto una mia modalità espressiva artistica, però era in strutture gestite da altri. Quindi tu sei lì, ma devi rispettare quelle realtà: da Massimo Gramellini a Maria De Filippi alla Berlinguer, a Per un pugno di libri, un programma che io adoro, ma dove tu sei un padrone di casa in una struttura già molto definita. Con un programma tuo ogni giorno decidi in base alle tue urgenze di cosa parlare, questa libertà è un grande privilegio che non avevo più avuto. Anche in radio in Un giorno da Pecora io ho un partner, è un programma a cui ho aderito, ho portato il mio mondo, ma devi portare il tuo senza snaturare quello che già c’è.
Hai nominato "Per un pugno di libri", tornerà?
Speriamo, perché ovviamente è legato alle scuole, e alle loro possibilità di muoversi. L’anno scorso abbiamo interrotto la sesta puntata tra lacrime e disperazione.
Tv, radio, ma anche teatro. Mattia Torre ha scritto per te "Perfetta", che hai portato anche in tour. Era una delle menti più vivide tra gli scrittori e sceneggiatori italiani, quanto è riuscito a leggerti?
Lo porterò ancora in giro, per trenta date, non lo avevo ancora detto a nessuno: dal 15 marzo al 27 maggio chiudo all’Ambra Jovinelli, il teatro di Mattia. Io ho avuto una fortuna doppia: quella di essere innanzitutto un’amica di Mattia e di sua moglie, quindi ho avuto il privilegio di frequentarlo a prescindere dal lavoro, quello è nato dopo il rapporto di amicizia. Mattia ha scritto per me una cosa in cui la protagonista non sono io, perché è una moglie, una madre, ha un lavoro che non è il mio, vende macchine, però ha molte cose in comune con me, ed è stato possibile solo grazie alla sua capacità di capire nel profondo chi aveva di fronte.
Anche se postumo Mattia Torre ha ricevuto il David di Donatello per la sceneggiatura di Figli. È stato un bel momento.
È stata una grande gioia, anche vedere Emma ritirarlo e sentirle dire quello che ha detto. Per tutti noi amici è stato un momento molto forte, molto bello, straziante, meraviglioso, come tutte le cose per cui si festeggia, ma non si può festeggiare fino in fondo.
Facciamo un salto all'indietro nel tempo. Il programma che ti ha dato la notorietà è stato Zelig, ma una volta chiusi i battenti non c'è stato nessuno show in grado di replicare quel successo. Come mai secondo te?
Zelig si è imposto in un momento televisivo in cui non c’era questa frammentazione delle proposte, anche comiche. I comici li vedevi lì, mentre i più grandi avevano i loro show da soli. Dopo è nato Colorado, poi con Sky e i canali tematici, la comicità ha iniziato a spargersi ovunque. Zelig non si fermava nemmeno la settimana di Sanremo, faceva degli ascolti da partita di calcio, era un evento televisivo perché anche il mercato attorno era diverso. Devo a quel programma tutto quello che è arrivato nella mia vita, ho un legame fortissimo con quella realtà, con quelli che ci lavoravano e ci lavorano ancora oggi.
Cosa porterebbe Geppi Cucciari in tv che ancora non c'è?
Non posso pensare a cosa porterei in televisione perché sarebbe una vanità troppo grande, mi potrei concentrare su quello che non dovrebbe esserci, ma è pur vero che tante cose ci sono per accontentare i gusti di tutti. La televisione è una lente di ingrandimento amplifica tutto nel bene e nel male: l’amore di chi ti sostiene e il disprezzo di chi non ti sopporta. Io non so fare più di quello che già faccio in tv, ovvero chiedere e ascoltare. Quest’ultimo verbo è un po’ troppo sottovalutato, in generale, nella vita bisognerebbe ascoltare di più.