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Corrado Formigli: “Piazzapulita indipendente dai politici, da noi non vengono volentieri”

Il conduttore di Piazzapulita racconta la nuova stagione del programma, in partenza giovedì 10 settembre su La7. Talk show decennale che – spiega Formigli – prova a raccontare la realtà e per questo è indipendente dalla politica, spesso ostile a una Tv che fa domande. Sul referendum: “Fatto così è ridicolo e propagandistico, le persone si chiedono che fine faremo domani, non quanti parlamentari avremo”.
A cura di Andrea Parrella
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Ph. credit Paolo Properzi
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Appuntamento per giovedì 10 settembre riparte, alle 21.15, su La7. Piazzapulita riparte da qui, dal racconto di un'Italia che tenta di rimettersi in piedi dopo i mesi più difficili, nella speranza di non doverci ripiombare. Il talk show di Corrado Formigli è stato un faro importante nei mesi del lockdown, proponendo un racconto della pandemia rigoroso, franco e spesso molto duro. Abbiamo intervistato il giornalista e conduttore del programma affinché ci raccontasse perché Piazzapulita non è un talk show come gli altri.

Dunque Formigli, il programma si prepara a un periodo in cui i timori per un ritorno pesante del Covid incrociano appuntamenti elettorali importanti. Come vi avviate a questo autunno caldo?

Con tutte le precauzioni siamo tornati a lavorare in presenza e questo è un punto fondamentale per iniziare la stagione, logisticamente e psicologicamente. A parte questo ci spaventa molto la questione economica e sociale legata al Covid, si avverte sempre più uno scollamento tra la realtà del dibattito politico rispetto al pubblico sentire. Queste paginate che leggiamo di retroscena politici fanno un certo effetto quando oggi le persone non si domandano con quale legge elettorale voteremo o se avremo 800 o 600 parlamentari. Si chiedono bensì se i nostri sistemi istruttivo e sanitario siano stati adeguati all'emergenza. Questa sarà la linea editoriale del programma: la politica deve parlare di cose serie e non buttarci fumo negli occhi.

Il referendum del 20 e 21 settembre è però un tema centrale di queste settimane, che potrebbe alterare gli equilibri politici attuali.

La storia del referendum è abbastanza ridicola, portiamo le persone a votare senza aver nemmeno pensato ai contrappesi e alla cornice politica nella quale inserire questo referendum. Si dice semplicemente "tagliamo", cosa che da sola non vuol dire nulla. Come fanno a garantire che avremo rappresentanti in parlamento più seri di quelli di oggi? Chi mi garantisce che si farà una legge con le preferenze che mi permetta di scegliere un candidato, con un contrappeso di rappresentanza democratica degli eletti? Così tutto si riduce a un taglio di propaganda per dire che la politica fa tutta schifo. Ma il problema è molto più serio e noi proveremo proprio a raccontare di questa dissonanza tra dibattito politico e comune sentire di persone che si chiedono "che fine faremo domani?". 

Piazzapulita esiste da 10 anni ed ha assunto, nel tempo, varie declinazioni. C'è qualcosa del programma che avevi in testa che non sei ancora riuscito a realizzare?

Noi abbiamo fatto un percorso in cui abbiamo cercato di rendere sempre più forti e autorevoli i nostri filmati e reportage, aprendo ad un certo punto in modo molto chiaro al reportage internazionale. Nel 2014 a Kobane, poi in Siria, a Raqqa, passando per Mosul e le rotte balcaniche. Questo aspetto secondo me ha reso Piazzapulita un talk show molto diverso dagli altri. Naturalmente il percorso doveva crescere ancora e svilupparsi in questa direzione, ma rischia di doversi interrompere prima di tutto a causa del Covid, che rende molto difficile andare all'estero, ad esempio per le elezioni americane che saranno l'evento politico più importante dell'anno. Secondariamente anche per una questione di costi, dato che oggi anche la televisione è più povera. La mia grande preoccupazione è far crescere il programma avendo meno risorse, mantenendo quella vocazione.

I vostri reportage internazionali sono cosa rara nel contesto dei talk show politici nostrani, anche per la complessità di farli "digerire" al pubblico. C'è una resistenza culturale tutta italiana al racconto di ciò che è fuori da noi?

Io penso che noi dobbiamo metterci nell'ottica di un gusto televisivo che evolve e bisogna avere il coraggio di proporre al pubblico cose diverse. Quando noi abbiamo cominciato con i reportage internazionali non abbiamo avuto un boom di ascolti, pur costando molto in termini di risorse. Ma ci hanno dato un posizionamento, rafforzando un brand e creando un gusto. Oggi il nostro pubblico ci riconosce questa cosa. Il tema è avere il coraggio, proprio adesso che tutto sta cambiando, di provare a incidere sul gusto delle persone, non adagiandosi su ciò che si aspettano.

Ci sono dei dati che vi fanno intuire di avere un riscontro di pubblico diverso da altri programmi simili a Piazzapulita?

Penso al fatto che il giovedì, in prima serata, La7 è da tempo la seconda rete per pubblico di laureati dopo Rai1, che però fa il 30% e funziona come una grande rete a strascico. Dentro il nostro 5.5/6 % di share c'è un 12% di laureati. Questo mi fa pensare che ci sia un pubblico preparato che cerca qualità e che ti ha scelto, chiedendoti qualità, competenza e autorevolezza. Per questo da noi il trash e la rissa non arrivano.

Una peculiarità del programma è l'essere atterrato in Tv mentre il talk show affrontava una grossa crisi, figlia di una metamorfosi della politica che ha costretto questo genere di programma a una mutazione genetica.

Si è sempre attaccato il talk show accusandolo di essere un genere morto, che non facesse vera informazione. In realtà il talk, come l'araba fenice, risorge sempre. L'anno in cui siamo partiti noi, il 2011, fu un punto di svolta con la caduta del governo Berlusconi, l'inizio dell'esperienza Monti, la messa in discussione dell'Euro e la Grecia. In quel periodo il talk show cambiò pelle, iniziarono ad essere ospiti i professori di economia, si iniziò a parlare di spread e cose che non si pensava potessero arrivare in prima serata. Ora con il Covid si cambia ancora, sono arrivati gli scienziati, si è capito che temi come la salute e la scuola, che prima si credevano scaccia-ascolti, sono diventati centrali e vitali per il nostro futuro. Soprattutto noto che c'è una necessità di competenza che va a scontrarsi con la qualità della classe politica degli ultimi anni.

Politica che negli anni scorsi ha tra l'altro pesantemente demonizzato la Tv e in particolare i talk show, penso soprattutto al Movimento 5 Stelle. Credi quella fase sia definitivamente alle nostre spalle?

L'ostilità della politica nei confronti della televisione c'è sempre stata e c'è ancora oggi, è un'ostilità verso il tentativo di fare un racconto indipendente della realtà. Questo mi fa dedurre che i politici sono sempre meno necessari al talk show e io ho fatto di tutto per autonomizzare Piazzapulita dalla politica. Oggi i politici possono avere un rapporto verticale con i propri elettori tramite i social network, senza intermediari. Per questo quando la televisione si mette in mezzo provando a fare un racconto diverso, la politica non gradisce. Ma questo è un vizio vecchio come il mondo e un tempo, si riuscivano anche a chiudere i programmi.

Parliamo del famoso Editto Bulgaro.

Esatto. Io ero un inviato Rai in quegli anni e sono stato costretto a lasciare l'azienda per l'Editto Bulgaro perché non mi facevano più lavorare. Dopo essere stato fermo un anno e mezzo sono andato via. Oggi fortunatamente la politica non può chiudere il mio programma su una rete indipendente e libera.

E nemmeno oggi i politici sembrano volere così bene a Piazzapulita.

I leader politici non vengono volentieri da noi, è vero. Zingaretti e Di Maio mancano da un anno, Salvini non è venuto per tre anni, la Meloni non viene praticamente mai. Penso sia sbagliato da parte loro, credo un grande leader debba andare anche nei luoghi che reputa meno facili ed amichevoli per uscirne più forte. Detto questo, se loro non vengono a noi non frega nulla, il programma non ne risente proprio perché è indipendente rispetto al circo politico.

Oggi esiste una tipologia di talk show, molto riconoscibile, che pare andare a rimorchio di un certo linguaggio di stampo sovranista e anti establishment. Sei d'accordo con l'idea che esista un talk di destra che non pareva possibile nemmeno negli anni del berlusconismo?

Sì, anche se non so se si possa definire realmente anti-establishment un talk che ogni settimana ospita Matteo Salvini o Giorgia Meloni per tenere alto l'ascolto e si consegna alla figura del politico come fosse un conduttore. Se un programma ha intenzione di attaccare il sistema mi fa molta simpatia e lo approvo, ma non se quel programma per contestare l'establishment ha Salvini seduto in poltrona. Se vuoi contestarlo lo fai seriamente, con grandi inchieste che fanno tremare i palazzi.

Anche il talk, come altri tipi di programma, sembra schiavo dei meme sui social e di quella iper semplificazione dei concetti che rischia di diventare distorsione. Come combatti questa deriva?

Possiamo continuare sull'esempio di Salvini. A un certo punto in pieno lockdown, durante il Covid, è venuto in trasmissione dopo tre anni, come a voler chiudere simbolicamente questa parentesi. Io ho mandato in onda un filmato in cui Salvini a marzo, a Fiumicino, chiedeva di aprire tutto, mostrandoglielo mentre c'erano i morti e le terapie intensive piene. Una scelta ovvia se hai lì ospite quel rappresentante politico, eppure è successo il pandemonio, con grandi contestazioni dallo staff di Salvini che mi accusava di aver fatto una cosa scorretta. Per cui dico che questa deriva la combattiamo così, facendo domande.  Il problema non è ospitare Salvini, ma cosa gli domandi, come lo metti di fronte alle questioni del Paese. Credo di avere ragionevole certezza che non rivedremo Salvini in trasmissione per un po'.

In pandemia avete realizzato contenuti di forte impatto, penso ai servizi di Alessio Lasta dalle terapie intensive, che hanno contribuito a disinnescare il racconto della "semplice influenza". Continuerete con lo stesso approccio o immagini di diluire questo racconto del virus che rischia di essere morboso?

Io difendo quelle immagini, anche quelle più forti e terribili e credo che la trasmissione comincerà proprio così, per ricordarci da dove arriviamo e quanto siamo vicini a quei momenti tragici che abbiamo vissuto. Ritengo che quei reportage abbiano contribuito a creare una coscienza di quello che stavamo affrontando. Oggi siamo in una fase diversa, siamo nella stagione della ricostruzione e punto a raccontare le inadeguatezze della classe dirigente. Si dice che dobbiamo costruire ponti e autostrade e va bene, ma io credo che si dovrebbe principalmente investire sull'istruzione, sulle nuove generazioni, sui poli di ricerca che non abbiamo più, rimettere in piedi il sistema sanitario. Quest'anno noi vogliamo raccontare quella che per adesso riteniamo una risposta inadeguata delle istituzioni, spronando la politica a fare meglio e a farlo presto.

Tra gli ospiti spesso in studio Antonio Padellaro, Selvaggia Lucarelli, Alessandro De Angelis, Tito Boeri. Ci sono altre novità?

Sto pensando di introdurre un elemento di novità con delle interviste a personaggi, intellettuali, scrittori e scienziati, che permettano di guardare un po' oltre, dicendoci come sarà l'Italia domani. Cominceremo con Massimo Ammaniti, il più grande psichiatra dell'età evolutiva, per capire cosa rimarrà nei bambini di questa esperienza. Io ho un figlio di 6 anni e mi interessa capire cosa sia successo, avere una persona che ci spieghi queste cose

La definizione profuma di novecento ma reputi Piazzapulita un talk show "di sinistra"?

Nella mia squadra ci sono tante sensibilità diverse, posso dire per certo che Piazzapulita è un talk show di sinistra nella misura in cui si pone la domanda di come far emergere gli svantaggiati, che si pone il tema della diseguaglianza in una maniera forte, interrogandosi fortemente sul tema dei diritti e l'allargamento di essi, per coloro che vengono considerati diversi, ultimi. Ma senza schematismi, perché in questo momento il problema dell'Italia sono le persone con la Partita Iva, i lavoratori autonomi, le piccole imprese, che sono il motore del Paese. Se invece per sinistra si intende quell'Italia che ha sempre tutelato il posto fisso e le rendite di posizione, allora no, non siamo affatto di sinistra.

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