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“Be Quiet”, un anti talent show nella notte di Rai2

Sulla seconda rete del servizio pubblico fa capolino un programma sperimentale nato da una realtà teatrale napoletana, che scimmiotta i talent show spogliandoli dei meccanismi televisivi che spesso soffocano il talento stesso. Una forma sperimentale da migliorare, di cui la tv generalista farebbe bene a non privarsi.
A cura di Andrea Parrella
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Nel flusso continuo e regolare della televisione generalista italiana, compresso da una omologazione delle principali forme di intrattenimento, una anomalia finisce per assumere i connotati di un corpo estraneo, un essere appartenente a un diverso ecosistema. "Be quiet", andato in onda su Rai2 giovedì 23 agosto in seconda serata (disponibile su RaiPlay), può essere annoverato in questa categoria.

Un esperimento che nasce dall'omonimo collettivo napoletano, prima come esperimento teatrale, per poi diventare televisivo. L'idea di fondo muove i suoi passi dal talent show, per contrapporvisi e rappresentarne la negazione assoluta, nel tentativo di mettere a nudo e denunciare l'inconsistenza dei meccanismi che regolano le grandi produzioni internazionali. Ci sono tutte le figure classiche del talent, con ruoli ribaltati: Giovanni Block incarna il ruolo istituzionale. imbarazzato dai quattro giudici, la cui caricaturale incompetenza al ruolo è in contrasto con il potere nelle loro mani, quello di decidere del destino artistico dei bravissimi artisti ospiti, che nel copione svolgono la funzione dei concorrenti  appositamente maltrattati dal parere dei giudici. Le loro esibizioni sono il fulcro del programma.

Ne esce fuori un ardito prodotto da avanspettacolo, tutto napoletano, caratterizzato da uno spirito di improvvisazione in parte segnato dalla tradizione delle tv locali e in parte ispirato lontanamente ad una forma di intrattenimento arboriana, non scritta, intenzionata a prendersi gioco della televisione convenzionale attraverso la televisione stessa. Non senza difetti, come una rudimentalità innaturale, talvolta costruita e carente di spontaneità, scorrevole solo a tratti, ma intrigano le intenzioni di "Be Quiet" nel costruire uno show televisivo dando vita a un talent privato di tutte le principali caratteristiche di un talent: il raggiungimento dell'obiettivo finale, la suspense, la sacralità dei commenti dei giudici.

Spogliato di questi elementi, al talent show resta solo il talento stesso, che se in questo contesto volutamente tendente al parossismo brilla, nei programmi televisivi di prima serata dai grandi budget viene spesso sacrificato, oscurato dal meccanismo. La forte connotazione locale può aver contribuito ad ascolti non proprio da capogiro (quasi duecentomila spettatori con il 2,52% di share), ma il programma dà voce a un bisogno di sperimentazione che la tv, in questo caso Rai2, farebbe bene a non reprimere.

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