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Andrea Vianello e il calvario dopo l’ictus: “Ho riscoperto il gusto della vita”

Il giornalista racconta il calvario dopo l’ictus che nel 2019 gli tolse l’uso della parola. Solo dopo molto tempo iniziò a intravedere una luce in fondo al tunnel e molto pesò il primo incontro con i figli, che aveva fatto fatica a incontrare prima: “Quando ci penso mi rivedo eccitato, trepidante, atterrito, ma più di tutto fatalista”.
A cura di Andrea Parrella
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Sono trascorsi poco più di due anni da quando la vita di Andrea Vianello cambiò definitivamente, con un ictus che lo obbligò a ricominciare da capo, persino dal imparare di nuovo tutte quelle parole che gli erano state utili a lavorare nella sua carriera da giornalista. Il 2 febbraio del 2019 il malore, improvviso, che lo raggiunge in casa all'ora della colazione: "Mi sono accorto che la mano destra non rispondeva – ha raccontato – poi che non controllavo tutta la parte destra. Ho iniziato a urlare il nome di mia moglie Francesca. Lei, quando mi ha visto, ha capito subito, ha chiamato l’ambulanza e mi ha salvato la vita”.

Lì è cominciato il calvario, il giornalista si è accorto di non poter parlare: “Le parole erano lì ma non riuscivo a farle uscire e sbagliavo anche le poche che dicevo. Non sapevo dire il nome di mia moglie”. Il ricordo di quei primi giorni è carico di angoscia. Da allora si è rifiutato di vedere i suoi figli, temendo di sconvolgerli:

Pensavo che il mio volto, come lo conoscevano, non c’era più perché non c’erano più le parole. Pensavo che la mia identità violata potesse fargli male. Era come mostrarmi spezzato. Poi ho capito di aver sbagliato. Quando li ho rivisti, ho capito che non farmi vedere aveva ingigantito le loro paure. E mi sono sentito in colpa.

In un'intervista al Corriere della Sera, Vianello ha raccontato quel primo incontro con i tre figli, nel giorno del 17esimo compleanno di Goffredo, per un pranzo in famiglia fuori porta, il primo dopo il suo malore: "Quando ci penso mi rivedo eccitato, trepidante, atterrito, ma più di tutto fatalista. Non sapevo cosa mettermi tra i pochi vestiti portati da casa: mi sentivo come un innamorato al primo appuntamento. Alla fine mi sono deciso: ho sfilato la tuta da Escobar per indossare un paio di jeans neri, un golf di lana tortora, un paio di scarpe scamosciate dai lacci insidiosissimi".

Un lungo percorso di riabilitazione che lo ha portato a quell'alba di una nuova esistenza, più consapevole, "Ho riscoperto il gusto della vita – dice – Era tutto un rebus. Che ancora una volta ha risolto Francesca. Sempre al mio fianco, sensibile, determinata, irrinunciabile. Senza lei tutto sarebbe incomprensibile".

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