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‘Amici 2017’, Saviano: “Vi racconto Khaled Omar. Salvò un neonato, poi morì sotto le bombe in Siria”

Il pubblico di ‘Amici 2017’ ha ascoltato in lacrime la riflessione di Roberto Saviano sull’immigrazione e il dolore, la paura e la devastazione che accompagnano la guerra. Nel corso della sesta puntata del serale, in onda sabato 29 aprile, lo scrittore ha raccontato la storia di Khaled Omar, il volontario che ha salvato centinaia di vite in Siria e che è morto a causa di un bombardamento. In studio, Ileana Boneschi, ostetrica negli ospedali di Medici senza frontiere.
A cura di Daniela Seclì
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Roberto Saviano torna ad ‘Amici 2017‘. Lo scrittore è tra gli ospiti della puntata del talent, in onda sabato 29 aprile. L'audio di un bombardamento in Siria introduce il suo racconto. Nello studio cala il silenzio. Dopo un frammento del documentario ‘Caschi bianchi', Saviano parla della guerra che sta seminando morte e devastazione a "tre ore di volo dall'Italia".

Per parlare della tragica situazione in Siria, lo scrittore racconta la storia di due persone. Il primo è Khaled Omar, un volontario dei caschi bianchi che a soli 31 anni ha salvato centinaia di vite. Purtroppo è stato ucciso durante un bombardamento. Saviano è tornato con la mente a quando l'uomo, dopo aver scavato a mani nude per 16 lunghe ore, era riuscito a salvare un neonato rimasto intrappolato per 10 giorni tra le macerie. La foto di Omar con il bimbo è apparsa sullo schermo (vedi fotogramma in alto), commuovendo il pubblico: "È salvo, come se fosse nato una seconda volta". Quindi, Saviano ha continuato:

 "C’è una domanda che spesso viene posta ai migranti quando vengono soccorsi dai naufragi in mare: ‘Ma lo sapevi che avresti rischiato la vita affrontando un viaggio del genere?' e la risposta è quasi sempre la stessa: ‘Tentando il viaggio sapevo di rischiare la vita, ma restando nel mio Paese ero sicuro di perderla'. C’è una frase che sentiamo ripetere quando si parla di immigrazione: ‘Aiutiamoli a casa loro'. È diventata una specie di scudo per chi vorrebbe impedire l’arrivo degli immigrati, come dire: ‘Non dico di non aiutarli, ma di aiutarli a casa loro'. È una frase che di per sé non sarebbe negativa, anzi. In fondo stiamo parlando di dare aiuto. Il problema è che nella stragrande maggioranza dei casi rimane una frase vuota, dietro a cui non c’è nulla. Ma aiutare significa collaborare, occuparsi del problema. Per capire cosa sta succedendo ‘a casa loro', bisogna conoscere le storie".

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La storia di Ileana Boneschi: "Nei Paesi di guerra aiuto le donne a diventare madri"

In studio è intervenuta anche Ileana Boneschi, ostetrica presso gli ospedali di Medici senza frontiere che, a 28 anni, si occupa di far nascere bambini in situazioni estreme e da madri spesso stremate dalla fame.

"Pensavo di entrare in Accademia. Poi ho capito che la mia vera passione era un’altra. Sono diventata un'ostetrica e ora lavoro in Paesi in guerra per aiutare le donne a diventare madri. Sono tornata dall’Iraq poche settimane fa. Ogni notte c’erano bombardamenti e a ogni esplosione mi chiedevo cosa pensassero le donne incinte sotto quelle bombe, tra una contrazione e l’altra, quando iniziava il travaglio. Se riuscivano a raggiungere il nostro ospedale, cercavamo di tenerle il più a lungo possibile fuori dal raggio dei mortai. Se invece non riuscivano ad arrivare, partorivano da sole, al freddo, senza niente per tagliare il cordone ombelicale se non pezzi di lamiera".

"Sono donne esauste, malnutrite ma fortissime"

La Boneschi ha continuato il suo racconto: "Il loro coraggio mi ha ricordato quello delle donne che in Sud Sudan, da anni, di notte, si nascondono nella palude per proteggersi dai soldati. Devono tenere i bimbi piccoli in braccio perché l'acqua arriva alle spalle, con il rischio di essere attaccate da serpenti e coccodrilli. Sono donne esauste, malnutrite, ma fortissime. Nonostante le difficoltà che queste mamme sono costrette a vivere in guerra, dopo il parto la prima espressione che vedi suoi loro volti e sui volti di tutte le persone che sono lì, è sempre di gioia. Perché è nato un bambino. È nuova vita e una speranza". Infine, ha spiegato ciò che l'ha convinta a intraprendere questa missione:

"Qui a casa abbiamo bisogni, ma abbiamo molte più risorse per soddisfarli. Mentre lì ci sono solo bisogni. Quando sento che con il nostro lavoro riusciamo a fare la differenza, è lì che arriva l’energia per aiutare le mamme e i bambini. In guerra ancora più che altrove, sono veri eroi".

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