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Amici 12: e se per i primi due mesi fosse vietato piangere?

Riparte la fase pomeridiana del sempreverde e sempreuguale talent. Riparte la liturgia dei giovani rampanti, cazzuti e sfacciati, incontinenti (o educati) al pianto facile. Non potrebbero risparmiarcene almeno sino all’inizio del “serale”?
A cura di Andrea Parrella
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Un continuo e perpetuo pianto, questo sei, oh Amici, e io non ti sopporto. Saranno tre giorni che provo ad appassionarmi alla fascia pomeridiana del programma, ancora in fase di assestamento e agli albori di questa dodicesima stagione (qui la pagina interamente dedicata ad Amici 2013). Il programma va a tutta, è rodatissimo, il pubblico in studio urla già, di certo Amici sembra essere un'isola felice, l'unico di quei pochi esempi di reality che non subisce la crisi del secolo, del "non ci sono più i programmi di una volta". Anzi, Amici è proprio uguale ad una volta, sempre identico a se stesso nell'impostazione, nei propositi, nella formula.

L'anno scorso si era criticata la deriva della ripetizione di se stessi, nella fase del cosiddetto serale (che è uno di quei termini di genere tipicamente "defilippiano", al pari di esterna, moderna. tronista), il condannabile difetto di riproporre una gara tra quelli che avevano già vinto negli anni precedenti. Staremo a vedere se quest'anno gli autori riusciranno a farsi venire in mente qualche novità. Per il momento, ho notato con dispiacere la modalità di comunicazione del verdetto di ingresso o esclusione agli aspiranti scolari: stanno seduti per terra, viene annunciato il loro nome, parte il jingle di Fame, raggiungono un'asta di microfono, il tempo di non riuscire a dire "salve" che, dopo trentacinque millisecondi di suspance, viene comunicato il fatidico "Non sei ammesso/a". In alternativa si chiede un'esibizione di verifica, che vuol dire praticamente il contrario. Sennò filano via, con tanto di buuuu di dissenso del pubblico.

Ciò che ritengo meritevole di condanna è l'imprescindibile liturgia dalla quale i partecipanti non riescono ad esimersi. Parlo di questa sguaiata e sconsiderata devozione al pianto già dal primo giorno di trasmissione. Da tre giorni vedo indistintamente giovini ballerini, sgargianti rocker, gagliardi aspiranti icone pop, accasciarsi non appena il professore di turno indicato per giudicare sia uscito dalla stanza. Poi piangere. Piangere o educarsi a non farlo. E poi consolarsi, l'un l'altro. Più abbracci di consolazioni che passi doble, più lacrime che acuti e sarà così, probabilmente un lungo e straziante susseguirsi di qualcosa che qualcuno chiamerà "emozioni". Mi si dirà che sono insensibile, che non capisco quanto valga per ognuno di loro quest'esperienza. E' probabilmente vero, ma per pietà, almeno fino a febbraio, per il bene della credibilità del programma, si vietino tanto i pianti quanto le bestemmie in diretta.

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