Alessandro Sallusti in carcere: un “pericolo sociale” per l’informazione?
Quando è troppo, è troppo. L'informazione negli ultimi anni è stata violentata (o forse fa più effetto dire "stuprata") dai soliti volti noti che gravitano attorno al mondo dell'editoria, che investono, che usano i loro quattrini per creare consensi, per arruolare giornalisti-tappetino e per fare pressione, diretta o indiretta che sia. Ora, ad esempio, La7 è sul punto di cambiare "padrone": va via la libera Telecom Italia che è riuscita a dare spazio e lustro a Santoro, Mentana, Lerner e Sallusti, e chi arriva? Mediaset, anzi no. Sky, ci ha ripensato. L'Espresso, chissà. Discovery e Rtl, quasi sicuramente. Ma c'è chi parla addirittura di una "cordata siciliana". L'informazione che ha dovuto subire non solo un netto taglio dei contributi all'editoria ma anche una vera e propria riconversione, con giornalisti che oggi devono improvvisarsi (e aggiornarsi continuamente) per aprirsi ai nuovi mercati, dall'informazione che passa dai social al network al montaggio dei video in taluni casi più estremi. Categoria ritenuta privilegiata, ma che di privilegiato ha ben poco, visto che sempre più spesso si trova "scoperta" da tutela legale: le soluzioni per il giornalista sono due, o resistere e continuare a smascherare il potere a proprie spese oppure arrendersi e scendere a compromessi per vivere più a lungo soprattutto sul piano economico (che oggi non è per niente da sottovalutare).
Quattordici mesi senza condizionale, questo ha deciso la Corte d'appello di Milano nei confronti di Alessandro Sallusti per un articolo scritto, addirittura non per mano sua, nel lontano 2007 sul giornale Libero che dirigeva (oggi è Direttore de Il Giornale). Non si era mai sentito dire che per una presunta diffamazione si potesse finire addirittura in galera: viene da chiedersi allora perchè i criminali usino la galera come "passeggiata serale" e non affatto come loro dimora ideale. C'è qualcosa nella giustizia, o forse in chi le leggi le pensa e le approva, che non va. Non è ammissibile nè giustificabile una simile decisione perchè rischia davvero di insabbiare anni di lotta per la libertà dell'informazione, che rischia di trasformare l'Italia in una dittatura. Una doccia fredda per noi che facciamo informazione. L'Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha auspicato che "si intervenga al più presto in sede legislativa per evitare casi del genere": mercoledì sapremo la decisione della Cassazione che potrebbe sbattere in cella un giornalista, mentre in primo grado si era limitata ad una piccola ammenda di 5 mila euro. All'improvviso un dietrofront clamoroso.
L'irritazione è bipartisan scrive Il Giornale visto che tutti, destra e sinistra, giornali di qualsiasi orientamento politico, hanno mostrato solidarietà nei confronti di Sallusti. Noi abbiamo spulciato tutti i giornali in edicola, una sorta di rassegna stampa e abbiamo appurato che una volta tanto la categoria dei giornalisti fa fronte comune. C'è chi invoca l'intervento del Quirinale, chi del Parlamento, chi del Ministro della Giustizia. Come può la diffamazione sfociare addirittura nel carcere? Sarebbe "un ritorno al passato" per Alfano, dunque un ritorno al terribile periodo fascista; "condanna mostruosa" per l'Fnsi. Anche il Pd, per bocca di Giorgio Merlo, chiede un intervento immediato della Severino per mettere fine a questo scempio. Si unisce al coro anche l'Udc. "Sembra una vendetta più che un atto di giustizia" titola il Corriere della Sera in un articolo a firma di Pierluigi Battista:
C'è qualcosa che non funziona in assoluto in una giustizia che oscilla tra una condanna al pagamento di 5 mila euro a una di 14 mesi di carcere con sentenza definitiva.
Per l'Unità "è inaccettabile il carcere per Alessandro Sallusti" anche se Claudio Sardo subito dopo corregge il tiro:
Continueremo a batterci contro le idee di Sallusti e de Il Giornale ma vogliamo che la battaglia sia tra uomini liberi. Intervenga il Governo se la Cassazione dovesse confermare l'attuale interpretazione della norma […] La nostra legislazione è carente, inadeguata. Soprattutto lo è la disciplina della diffamazione a mezzo stampa, concepita in altre epoche storiche.
Tre articoli de Il Giornale sul caso, i titoli sono tutti piuttosto duri (ma è inevitabile che sia così): "Per i giudici Sallusti è un pericolo sociale", "La nostra libertà di stampa è socialmente pericolosa" e "Ora intervenga il Quirinale, l'irritazione è bipartisan". Nicola Porro senza peli sulla lingua ha scritto su Il Giornale:
Non c'è giornalista sulla faccia della penisola che non abbia avuto una condanna, fa parte del mestiere. Talvolta facciamo delle baggianate incredibili ed è giusto pagarle. I direttori devono essere sempre lì a vigilare sulle possibili minchiate di terzi di cui sono responsabili. Una follia […] In cella giovedì non finisce solo il direttore de Il Giornale, ma una libertà sacra in una democrazia occidentale.