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Polemiche per “The Mission”, il reality porterà 8 vip nei campi profughi

Un reality show nei campi profughi, con otto vip pronti ad aiutare gli operatori di Unhcr e Intersos. E’ polemica tra le altre associazioni e Ong che si occupano di solidarietà nei confronti di profughi e rifugiati, contrarie alla strumentalizzazione televisiva del tema.
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A cura di Laura Balbi
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E' già polemica per l'annuncio del prossimo reality show di Rai Uno "The Mission". Il format sarà ambientato in alcuni campi profughi e avrà come protagonisti otto personaggi noti; tra gli altri Al Bano, Emanuele Filiberto, Barbara De Rossi e Michele Cucuzza. Saranno proprio loro ad aiutare gli operatori dell'Unhcr e dell'Ong "Intersos". In onda dal prossimo novembre ha già suscitato reazioni contrastanti tra associazioni e organizzazioni del settore. Per molti il programma è "inaccettabile, lesivo della dignità di chi deve fuggire dal proprio paese a causa di guerre o persecuzioni". Si accoda la rete, che si è mobilitata attraverso due petizioni per "dare riconoscimento ai profughi e sensibilizzare l'opinione pubblica". La replica non si fa attendere ed arriva da uno dei protagonisti di "The Mission" Emanuele Filiberto; come si legge su "Il Messaggero" il Principe fa sapere:

La strumentalizzazione è di chi parla ora senza aver visto e capito il programma.

Un botta e risposta senza esclusione di colpi anche da parte del Gruppo Umana Solidarietà, che fa sapere:

Forse è vero che al peggio non c'è mai fine, ma questa cosa è incredibile. Fermatevi!! Siamo una Ong che si occupa di profughi in Italia da ormai vent'anni e all'estero facciamo cooperazione con un'idea differente dal facile pietismo. Abbiamo difficoltà, nel nostro lavoro quotidiano, anche perché non abbiamo il supporto di una comunicazione oggettiva e spesso ci troviamo a gestire le conseguenze di articoli o servizi che cercano lo scoop su questa o quella organizzazione o su questo o quel gruppo di migranti. Siamo certi che anche il Papa, nel suo recente viaggio a Lampedusa, non si riferisse a un ‘reality', quando auspicava e desiderava che si ponesse attenzione al dramma di chi fugge dalla propria terra, ma forse siamo noi a sbagliarci. Abbiamo difficoltà a credere che gli ideatori di questo programma abbiano mai visto territori martoriati dalle guerre o fatto esperienze di Cooperazione internazionale. L'aiuto ai popoli in fuga, ai profughi nei campi di accoglienza non passa da uno spettacolo che cerca di impietosire il pubblico di casa al quale chiedere poi un sms solidale a favore di organizzazioni che, con una mera operazione commerciale, hanno reso possibile questo programma. Se la Rai avesse voluto raccontare il lavoro di tante Ong nei territori di guerra o nei campi lo avrebbe potuto fare in altri modi. Purtroppo  si è spesso dedicata, anche nelle ultime emergenze, a far vedere gli sbarchi e poco più e ad amplificare le polemiche di italiani contro i migranti, di poveri contro disperati.

L'opinione del Gus accomuna anche il padre gesuita  Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Le polemiche non si fermano nemmeno in rete, dove le piattaforme Change.org e Activism.org hanno contrastato la decisione Rai. I diretti interessati del reality show sono senza dubbio le associazioni coinvolte, Unhcr e Intersos. Replica alle critiche il segretario della Ong Intersos Marco Rotelli, che spiega anche i motivi della scelta di partecipare al programma:

Quando abbiamo deciso di aderire a questo esperimento di comunicazione eravamo ben consapevoli di esporci a critiche, commenti e di suscitare interrogativi purtroppo, anche qualche insulto. Da molti anni le organizzazioni umanitarie dibattono sulla comunicazione, su metodi e limiti del loro rapporto con il pubblico. Quanto alle crisi umanitarie, l'opinione condivisa da molti è che se ne parli troppo poco: tranne in rare eccezioni, solo quando gravi tragedie scuotono le emozioni del grande pubblico e si accende la luce mediatica sulla sofferenza di milioni di persone, altrimenti dimenticate. Proprio per dare riconoscimento a queste persone, in particolare ai rifugiati – spiega – abbiamo accettato di partecipare al programma. Molti giornalisti della tv, della radio, della carta stampata e più del web ci hanno cercato, sono venuti a trovarci nei programmi in vari paesi, hanno condiviso con noi fatica, passione, pericolo, successi, frustrazioni, competenza e talvolta fallimenti. Purtroppo, raramente tutto questo è potuto esser trasformato in un messaggio, un'informazione destinata a molti. L'umanitario è sempre rimasto nelle ultime pagine dei giornali quotidiani, nei piccoli box a margine dei settimanali o nei programmi della mezzanotte della tv. Noi sappiamo con certezza che quel che facciamo è importante, vitale, essenziale, oltre che meraviglioso. Per questo vogliamo portare questo messaggio e questa consapevolezza alla gente che oggi non li trova nell'informazione. Ci è stata offerta questa possibilità. L'abbiamo valutata, considerata rischiosa per l'immagine dell'organizzazione ma unica per il potenziale di diffusione che portava con sè. Abbiamo quindi chiarito bene le cose, gli obiettivi, i limiti e le modalità, a garanzia di tutto quello che cerchiamo quotidianamente di salvaguardare, a partire dalla dignità di ogni essere umano. Infine, abbiamo deciso di partecipare. La causa ci è sembrata più importante dei rischi di una simile operazione.

Staremo a vedere come si concluderà la battaglia contro "The Mission", in attesa di vedere se il reality show Rai riuscirà nel suo intento dal prossimo novembre.

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