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In Treatment d’Italia è “un copia e incolla”

Tutta la critica lo esalta, ma qualcuno ha il coraggio di dire davvero quello che pensa. Per Beatrice Dondi, l’italiano “In Treatment” è un “copia e incolla senza senso”. Il quote è un inno alla verità.
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Tutta la critica lo esalta, ma qualcuno ha il coraggio di dire davvero quello che pensa. Per Beatrice Dondi, l'italiano "In Treatment" è un "copia e incolla senza senso". Il quote è un inno alla verità.

La versione italiana di In Treatment, la serie HBO campione d'ascolti negli Stati Uniti, è un "copia e incolla senza senso", secondo l'autorevole firma de L'espresso, Beatrice Dondi. Il prodotto non gira perché ha l'aria di quei disegni realizzati con i trasferelli, quelli che la maestra delle elementari, scrive sempre la Dondi, "non avrebbe apprezzato" per mancanza d'iniziativa.  Così vengono bollate le sedute di terapia tenute dal dottor Giovanni Mari (Sergio Castellitto) che prende un paziente diverso, in cura nei diversi giorni della settimana: Kasia Smutniak, Barbara Bobulova, Adriano Giannini, Guido Caprino, Irene Casagrande e Valeria Golino, mentre la psicoterapeuta dello stesso dottore è interpretata da Licia Maglietta. Tutta un'altra musica è guardare all'opera lo psichiatra "originale", Paul Weston interpretato da Gabriel Byrne, a sua volta ripreso dall'israeliano BeTipul, diretto da Hagai Levi, con il dottor Reuven Dagan.

Ne viene fuori, dunque, un surrogato del surrogato dell'originale. Qualcosa che uno come Totò, per prenderla larga e a ridere, avrebbe potuto bollare serenamente come una "ciofeca". Tra le tante critiche lette in questi giorni sulla versione italiana di In Treatment, ho scelto di citare quelle della Dondi per un motivo molto semplice: sono le uniche che sono restate fuori da quel compromesso che "perchè-siamo-italiani-dobbiamo-parlarne-bene-no?". Sarebbe giusto invece, e sarebbe ora, focalizzare l'attenzione su altri linguaggi, con ben altri sforzi. L'Italia proprio non vuole togliersi quel brutto vizio di creare delle scialbe traduzioni di produzioni estere, come fino a pochi anni fa, dove l'hanno fatta da padrone "lupi di mare", "nuove squadre", "commissari gentiluomo", "pompieri prestanti". L'Italia non vuole staccarsi da quella faciloneria di cavalcare trend ormai saturi (si veda Il Clan dei Camorristi, Faccia d'Angelo e il prossimo Gomorra 2, ho già le bolle). Ma quando inventeremo storie alla The Following? Quando qualcosa come The Walking Dead? La Rete dice che l'Italia non ha la credibilità per creare certi prodotti, per sostenere certe produzioni. Forse ha ragione. O forse no. Intanto faccio eco alla Dondi, chiedendomi: ma questo In Treatment de'noaltri, a cosa ha portato?

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