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Gomorra 2: la falsa democrazia dell’Immortale

La democrazia di Ciro è una parola vuota di significato, un modo per indentificare, in maniera retorica, la diversità dell’Alleanza dal clan Savastano.
A cura di Marcello Ravveduto
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Negli ultimi due episodi Ciro insiste sul concetto di democrazia: l’Alleanza tra i boss è un modello di “criminalità parlamentare”. Parlamentare nel senso originale del termine: ci si incontra in assemblea per deliberare congiuntamente e in maniera unitaria. In realtà la “democrazia” di Ciro è unanimismo. Non c’è spazio per il dialogo tra maggioranza e minoranza, poiché è evidente che una eventuale minoranza in contrasto con la maggioranza si trasforma nel contesto camorristico in un dissidio non risolvibile con una deliberazione per alzata di mano.

Quindi, la parola, democrazia, peraltro pronunciata da un camorrista uxoricida (che non ha consentito nemmeno alla moglie di opporsi al suo volere), si svuota di significato per indentificare unicamente, in maniera retorica, la diversità dell’Alleanza dal clan Savastano. Dal punto di vista dell’onestà intellettuale è più corretto don Pietro che ridicolizza la leadership dell’Immortale con una frase pregna di significato: «La democrazia non esiste perché i cani si mangiano l’uno con l’altro se non c’è un padrone che li bastona».

Si può, perciò, supporre che il tipo di organizzazione a cui s’ispira Savastano senior è quello della “Signoria territoriale mafiosa” teorizzata da Umberto Santino: «La mafia come organizzazione criminale e come componente di un blocco sociale è un soggetto politico-istituzionale, che esercita il suo dominio come una vera e propria signoria territoriale, cioè con un comando totalitario sulle attività illegali e legali, sulla vita quotidiana, intrecciandosi o scontrandosi con le istituzioni operanti sul territorio… La signoria mafiosa viene esercitata in varie forme, con l’imposizione violenta ma anche con la ricerca del consenso, fondato sulla convergenza di interessi e sull’introiezione del potere mafioso (cultura della sudditanza)… Anche il delitto più grave, l’omicidio, che per la mafia costituisce l’applicazione della pena di morte per le violazioni delle sue regole e uno strumento per condurre la gara egemonica interna ed esterna e per reprimere la ribellione e soffocare le istanze di mutamento che mettono in pericolo il suo dominio, da strati consistenti della popolazione viene accettato come un atto “normale”, cioè previsto dall’ordinamento mafioso e prevedibile, anzi ineluttabile, se si commette qualche “sgarro”».

Tutta la strategia di Savastano senior, come spiega a Patrizia, punta sulla territorialità intesa come fattore di dignità criminale: le detronizzazione lo ha sollevato dalla necessità di mediare prima di agire; è disposto a perdere tutto (persino la vita) ma non la faccia nel quartiere dove è nato e cresciuto e dove ha imposto la sua legge feudale. Per questo non esita ad eliminare il Principe anche quando comprende che è un infiltrato di Jenny nelle fila dell’Alleanza. Non a caso prima di sparare gli dice: «Tu sei più utile al mio gioco».

Qual è il suo gioco? Pietro, da despota incallito, sa quanto può essere fragile la democrazia, soprattutto se si tratta di una “falsa democrazia”. Incutere sospetti, creare dubbi, disseminare incertezze è abbastanza facile quando nel campo avversario vi sono numerose personalità la cui indole individualista è costretta a sottostare a regole collettive artatamente costruite per imbrigliare la principale risorsa da cui deriva il potere di ognuno: la violenza.

Assistendo alle riunioni convocate a causa della crisi scatenata dalla morte del Principe e del principale indiziato, ‘o nano, si comprende quanto l’Alleanza sia una misura razionale che può essere travolta in qualsiasi momento da un eccesso irrazionale. Un eccesso che ha una validità narrativa assoluta sia nella fiction che nella realtà: il tradimento. Lo stesso Ciro, che come presidente dell’”assemblea parlamentare” arriva a minacciare di morte gli alleati in caso di reazioni scomposte («vi faccio inghiottire le mani un dito alla volta»), rischia di cedere al gioco di Savastano senior a seguito della morte del suo migliore amico (colui il quale conosce anche la verità sulla morte della moglie, ovvero il custode di un segreto inconfessabile la cui pena sarebbe la distruzione del carisma criminale).

La lunga sequenza dentro il cimitero (luogo di dialogo intimo e di riunione collettiva) è la metafora della permanente presenza della morte accettata come condizione normale del proprio essere (la morte si dà e si riceve), ma è anche il richiamo alla funzione ordinamentale della camorra che proprio nei cimiteri si riuniva per emettere sentenze irrevocabili. La decisione di agire uniti contro Pietro Savastano, il cui gioco è stato scoperto, è un atto giudiziario emesso da un Tribunale di guerra. Ovvero, seguendo le dinamiche narrative degli sceneggiatori, una dichiarazione di guerra difensiva dello schieramento democratico contro l’ex feudatario resistente. Torniamo, quindi, come già ho scritto, alla “sindrome di Spartaco”, anzi siamo addirittura di fronte alla teorizzazione della sfida tra due modelli organizzativi alternativi che ricadono nella logica manichea della divisione tra innovatori e conservatori, dove sia i primi sia i secondi credono di avere la ragione dalla parte loro. Intanto Jenny è lontano, ma non tarderà a rientrare come ulteriore variabile fuori controllo.

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