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Fiorello: “Farei un ultimo show a 60 anni per poi morire sul palco”

In onda tutte le mattine con Edicola Fiore, lo showman ammette in un’intervista a Malcom Pagani: “Lo faccio perché mi fa lavorare poco”. Poi aggiunge: “L’ultima volta che feci uno show su Rai Uno, nel 2011, toccammo punte del 63 per cento. Se oggi facessi il 49 che mi succederebbe?”.
A cura di Andrea Parrella
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Fiorello è il talento più purò che la televisione italiana abbia conosciuto negli ultimi decenni. Gli elogi e il riconoscimento delle sue doti innate vanno di pari passo alla consapevolezza che lo showman siciliano sia stato tra i pochi a rimanere grezzo, volutamente non affinato. Insomma "un cazzaro", come lui ha amato definirsi con fierezza nell'intervista rilasciata a Malcom Pagani per Il fatto quotidiano. In queste settimane è tornato Edicola Fiore su Sky e lui, che di questo programma è l'ideatore, il conduttore e pure il cameram. Un programma di primo mattino, una rassegna stampa, tutto il contrario di quello che dieci anni fa ci saremmo aspettati dal personaggio che era diventato.

Il prototipo dell'uomo di spettacolo perfetto, in grado di piacere quasi a tutti, se non a tutti. Ma questo è il modo in cui vuole farlo e oggi, di tornare in prima serata, non ci pensa proprio: "L’ultima volta che feci uno show su Rai Uno, nel 2011, toccammo punte del 63 per cento. Se oggi facessi il 49 che mi succederebbe?". Tutta fatica che forse non lo ripagherebbe, perché oltre alla pigrizia che lo contraddistingue ("Per lavorare di meno, da ragazzo architettavo idee folli. Edicola Fiore in fondo è un’appendice di quella filosofia. Mi fa lavorare poco, quindi va benissimo") di tornare in prima serata non ha alcuna voglia:

Un’idea potrebbe essere farne un ultimo a 60 anni e finire in bellezza morendo sul palco.

Il Fiorello degli inizi, quello dei villaggi, quello che si inventava qualsiasi cosa pur di interagire con le persone. Ma anche quello della Milano da bere che lo travolse e lo portò ad abusare di cocaina, cosa che lui ammise:

Dai vizi mi salvò il ricordo di mio padre. “Sono un cretino – mi sono detto – che cazzo sto facendo?”. Ammisi l'uso di cocaina perché non ce la facevo ad andare avanti con quello scheletro nell’armadio e dovevo levarmi il peso. Mia madre si dispiacque tanto, anche per la vergogna, ma io volevo che tutti sapessero ogni cosa e che il passato fosse un libro aperto. Come si esce dai vizi non so dirlo perché io ce l’ho fatta da solo e ognuno è fatto a modo suo. Però ormai sono un esperto di schiavitù. So se uno si tocca il naso per un raffreddore dicembrino o per una dipendenza. So riconoscere una debolezza a vista.

Oggi ritroviamo in tv personaggi che sembravano stati accantonati dal panorama televisivo nostrano. Personaggi come Costanzo e Baudo, entrambi suoi padrini professionali. Sul secondo, che sta conducendo una Domenica In tornata ai fasti di un tempo, tira fuori l'aneddoto del suo unico provino:

Telefonò a me: “Sono Pippo Baudo”, “Dai, chi cazzo sei?”. Mi convocò a Roma e mi trovai al Delle Vittorie. C’era gente che alzava la gamba con naturalezza. Gente che sapeva il fatto suo e che veniva congedata con il più triste dei “le faremo sapere”. Io non avevo preparato nulla. Arriva il mio turno e improvviso: “Qui ci sono un sacco di persone e ora che ci penso bene, vorrei andarmene. Però non ho i soldi e voi me li avete promessi. Sarebbe bello se me li deste per tornare”. Parlo, mi sciolgo e canto per 50 minuti. Coinvolgo Caruso al pianoforte e mi dimentico completamente del contesto. Alla fine Baudo intima “vieni con me”. “Minchia – mi dico – non l’ha fatto con nessuno”. “Sei bravo, ma non ti prendo perché non sei adatto a un numero da 3 minuti. Dovresti presentare, ma ci sono già io”. Quando andò a Mediaset mi richiamò. Avrei dovuto condurre un gioco in un suo programma però Pippo litigò con Berlusconi, si ritirò per 2 anni e quindi, arrivederci e grazie.

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