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Caro Morgan, servivano otto anni per capire il marcio di X Factor?

Volano gli stracci tra Morgan e Sky. Il cantautore definisce il talent “la tomba della creatività” e invita i ragazzi a non parteciparvi. Ma per 8 anni lui ha contribuito a far sì che X Factor assumesse una credibilità tale da spingere anche i più snob a pensare fosse una possibilità. Perché questo rigetto arriva solo oggi?
A cura di Andrea Parrella
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La crociata di Morgan contro Sky, il sistema televisivo e l'intero mondo discografico, si è avviata su un piano inclinato che non prevede ritorno. Il cantautore,in seguito all'addio a X Factor dopo otto stagioni, fa segnare lo strappo definitivo che per anni, dopo polemiche di diversa natura, era stato sempre evitato da una nuova partecipazione al talent (tutte le volte che Morgan ha minacciato di lasciare X Factor). Lo fa affermando di non essere stato pagato e definendo X Factor la tomba della creatività. Non ha detto una balla nel professarsi come il deus ex machina dell'edizione italiana, non ci si stancherà mai di dire che Castoldi abbia dato a quel programma credibilità e contenuti che pochi altri, se non nessuno, avrebbero potuto offrire.

Poi però, dopo quasi dieci anni, si genera quel cortocircuito per il quale il simbolo di X Factor, che del concetto di talent è fondamentalmente l'essenza, rinnega tutto il suo valore, rivelando quello che un po' tutti pensano, ma semplicemente in maniera più efficace e forbita:

X Factor è la tomba della creatività, la musica è probabilmente e fortunatamente ancora connessa alle dinamiche sociali e politiche. Alla politica interessa la musica per diffondere la sua idea. Al contrario la televisione è un ambito dove certe idee non funzionano più di tanto, perché pesanti e approfondite. Bisogna fare cose frivole perché così possa fruirne il mercato. Ecco che allora ho capito che la tv è l'ambito dove sguazza e regna il mercato […] Ragazzi, fatemi un favore, non fate X Factor. Perché se uno su tanti fa successo, è la dimostrazione che il talent show non si debba fare. Se volete avere una chance nella vita, non fate un talent show.

Traduzione un po' capziosa: non è che i talent facciano schifo, ma che al contrario siano delle stupende confezioni vuote, abitate dal nulla cosmico finalizzato solo ed esclusivamente ad assecondare un'idea della musica e della tv utilizzati allo scopo di generare indotto. Ovvero, non è la critica all'estetica che il talent assume quando viene calato in televisione, ma alla sua natura intrinseca. Morgan aggiunge: "Non scegliete i talent perché spengono ogni forma di talento, o se dovete farlo sappiatelo che sarete messi sotto contratto dal momento stesso in cui parteciperete ai casting, quindi munitevi di avvocati". 

Ma a questo punto sorgono alcuni quesiti spontanei da sottoporre a Morgan, istintivi, prevedibili e forse populistici: ci volevano otto edizioni per capirlo? Ammesso che avessi capito tutto dalla prima edizione, dalla seconda o dalla terza, perché non hai denunciato questa natura posticcia dei talent e in particolare X Factor, autoproclamandoti Don Chisciotte in questa battaglia? Per queste domande sappiamo che Morgan avrà una risposta, qualche sospetto sorgeva già quando Castoldi diceva "Vorrei abbandonare il programma ma non me lo permettono". Tuttavia è naturale che qualche perplessità, di fronte alle tempistiche con le quali è emersa questa polemica con Sky, tralasciando l'aspetto del compenso pignorato da Equitalia, emerge.

I talent show sono divenuti inesorabilmente uno dei pochi sbocchi per gli artisti che, oltre a vivere di musica, vorrebbero vivere anche di guadagno. Lo dimostra il fatto che, sempre più spesso, personaggi usciti dal giro tentano di reinventarsi in questi contesti (Chiara Iezzi e Dennis Fantina a "The Voice" sono esempi chiari), oppure che emergenti già noti ad un pubblico ristretto che non abbiano ancora fatto il salto di qualità, vengano indirizzati verso questi programmi dalle stesse case discografiche. Insomma, dopo essere stati bistrattati per anni è sempre più viva la sensazione che i talent siano stati rivalutati e siano divenuti in un certo senso gli uffici di collocamento del mondo dello spettacolo. Immagine triste, sì, ma abbastanza concreta. Ma forse, la colpa, il merito o comunque la responsabilità di questo fenomeno è anche di quegli artisti come Morgan che, involontariamente o meno, con la loro partecipazione hanno proiettato sui talent show la loro credibilità intellettuale ed artistica, fungendo da sostanziali foglie di fico per nascondere il marcio nel sottosuolo. Quindi che facciamo, dopo averli attratti nella tela, a questi giovani talenti diciamo che quello non è il posto giusto?

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