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A “Boss in incognito” si rimprovera solo la presenza invasiva della telecamera

Basterebbe rendere meno invasiva la presenza della telecamera per dare a “Boss in Incognito” un posto nella storia del servizio pubblico. E, comunque vada, date a Costantino della Gherardesca lo scettro di eroe della nuova tv generalista.
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E' davvero un bel format "Boss in Incognito", ennesima operazione di qualità lanciata da Rai Due (coproduce Endemol) in questa stagione televisiva che altrove è magra di rilevanti novità. Basterà starsene lontani per un po' dalla carta stampata e sguazzare tra le social news, tra i forum e i tweet, per rendersi conto della presa che le storie dei boss "sotto copertura" a stretto contatto con i propri lavoratori, stanno avendo sul telespettatore. Sono bastate già due delle quattro puntate commissionate per questa prima stagione, che sembra essere già chiara l'idea di poter strappare via l'etichetta "sperimentale" dal programma e pensare ad una seconda stagione da affidare, assolutamente, ancora alle mani e al volto di Costantino della Gherardesca, ormai sempre più simbolo di una nuova tv generalista che piace perché empatica ed immediata.

Non dovessero bastare tweet e commenti, anche gli ascolti invitano a sorridere. La seconda puntata, quella dove Giovanni Battista Pizzimbone, presidente e amministratore delegato di un gruppo privato preposto ai servizi di raccolta, stoccaggio e smaltimento rifiuti, si cala nei panni di un dipendente ai primi giorni, ha avuto uno share del 6,77%, migliorando quanto fatto con la puntata dedicata a David Hassan, proprietario di un marchio di camiceria ed abbigliamento, che ha invece realizzato il 6,6%.

Consigli dal web per un format impeccabile. La Rete dà, la Rete prende, poi scarta, riformula e riassorbe. "Boss in Incognito" ha nelle storie il suo reale punto di forza, quelle stesse storie che vengono mostrate dal format originale "Undercover Boss", franchise britannico in onda su British Channel 4. Al pari di quanto avviene nel format originale e nelle diverse varianti nazionali, anche  in Italia è prevista l'onnipresenza del cameraman lungo tutto l'arco della narrazione. E' un aspetto che, nonostante l'espediente di un finto documentario per depistare i dipendenti, non restituisce una completa veridicità all'azione, pone i dipendenti in una condizione buonista, costituendo di fatto un limite su cui, e sono gli stessi spettatori a chiederlo, sarebbe bene lavorare in futuro. Ecco ad esempio alcuni screen presi dai commenti postati proprio sulla pagina ufficiale di Costantino della Gherardesca.

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E su twitter, seppur tra numerosi "chapeau" e lacrimoni 2.0, non si è da meno.

Si può fare la storia della tv. La telecamera resta una scelta che rappresenta un'ostacolo, anche se con "Boss in Incognito" ci si muove nello spazio dei docu-reality. Eppure la forza delle sue storie, ne è convinto chi scrive, ha un potenziale ancor più ingaggiante e dirompente, basta solo rendere meno invasiva la telecamera. Costantino della Gherardesca, da uomo attento ed orientato più a curare il pubblico che all'ossessiva ricerca degli ascolti, dovrebbe cogliere quest'aspetto, questa proposta costruttiva che arriva dal basso perché, se così com'è "Boss in Incognito" è già un esempio di buona tv, osare ancora di uno step proietterebbe il format nella storia del servizio pubblico.

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